Top Zone Consultant per l’Europa, specializzata nell’applicazione della Strategia Nutrizionale Zona direttamente con il dr. Barry Sears, con il quale è co-autrice dei libri Il Bello della Zona, La zona del Futuro, Magri per Sempre e La Zona Mediterranea.

Contatti

Piazza Nicolò Tommaseo 2/A 20123 Milano
Studio: +39 335 46 63 34

Blog

Home  /  Dieta Zona   /  Energia sottile. Biochimica e calorie negli alimenti

Energia sottile. Biochimica e calorie negli alimenti

Più di vent’anni fa, quando si iniziò a parlare di nutrizione in termini biochimico-molecolari, ci fu uno scontro ideologico-culturale nel mondo scientifico estremamente violento, e il dr Sears – che di questa rivoluzione fu il padre – per anni negli Stati Uniti e nel mondo venne visto come un biochimico delirante.
Anche se le cose sono cambiate, tuttavia molte persone sono ancora condizionate da un vecchio modello secondo il quale gli alimenti sono solo ed esclusivamente carburante per il nostro organismo che viene considerato come una caldaia, ed è per questo che si parla molto spesso della nutrizione ancora solo in termini calorici.
In effetti gli alimenti sono il carburante per il nostro organismo, ma solo alla fine, dopo che gli stessi hanno svolto nel nostro corpo tutta una serie di funzioni molto più importanti.
Come nutrizionista – nell’esperienza quotidiana con le persone – mi sto accorgendo che con alcuni alimenti succede qualcosa di strano: non rispondono pienamente alle leggi biochimiche che li regolano ed è come se ci fosse un “vuoto” di informazioni che deve essere colmato. Ho capito che non basta più nemmeno considerare l’aspetto biochimico ormonale degli alimenti, perché è necessario ampliare la nostra visione iniziando a considerare qualcosa ancora di diverso, ossia l’energia “sottile” che caratterizza gli stessi.
Un alimento può essere un carboidrato, ma non “rispondere” in pieno alle regole biochimiche perché carente da un punto di vista energetico.
È necessario tenere presente i principi di cui parla la fisica quantistica con un ampliamento di visuale, un’integrazione, una sinergia tra biochimica e fisica e così quando consideriamo gli alimenti anche sotto questo aspetto possiamo, quindi, dire che essi sono dei sistemi informativi estremamente sviluppati che sostengono i nostri processi vitali, e non meri agglomerati calorici.
Nel momento in cui ci nutriamo con un alimento, esso ci trasmetterà le informazioni energetiche relative all’alimento stesso, al modo e all’ambiente in cui è stato coltivato da cui deriveranno le sue caratteristiche nutrizionali, al modo in cui è stato poi cucinato (pensiamo all’importanza di chi “maneggia” il cibo!), quindi una reazione biochimico-ormonale e infine un apporto calorico…
Un mondo, un modo assolutamente nuovo e affascinante di considerare ciò di cui ci nutriamo.
Quello che finora noi abbiamo sottovalutato è stata la parte dell’informazione energetica, perché per nostra fortuna gli alimenti sono sempre riusciti a rimanere “intatti” .
Purtroppo, però, le condizioni ambientali sono cambiate e la qualità del cibo oramai è compromessa nel suo aspetto informazionale.
Infatti, fino a quando gli alimenti sono rimasti “intatti” e l’ambiente è rimasto “intatto” – nel limite della capacità di adattamento dello stesso – l’importanza dell’aspetto energetico poteva essere sottovalutata perché il cibo riusciva a mantenere le sue caratteristiche originarie.
Ciò che sta succedendo ora è la conseguenza di un abuso del terreno, delle colture e di sostanze chimiche per ottenere sovrapproduzioni che permettano di soddisfare una richiesta di mercato probabilmente mai così alta rispetto al passato.
Basta guardare cosa sta succedendo con le bacche di Goji: mi chiedo come possa essere che la natura all’improvviso produca così tante bacche da permettere di trovarle ovunque a prezzi ridicoli: colture intensive con risultati nutrizionali pari a zero…
Faccio una premessa: non sono mai stata una paladina del cosiddetto “bio”, perché sono sempre stata abbastanza scettica sulla serietà di molti degli operatori in questo settore, temendo – come spesso accade – che alcuni di essi possano approfittare di un momento storico favorevole per ingannare il consumatore che non è in grado di distinguere un prodotto bio da un prodotto non-bio.
Devo, però, ammettere che negli anni ho toccato con mano la diversità di reazione delle persone agli stessi alimenti: la frutta e la verdura di adesso non reagiscono sulle persone come la frutta e la verdura di 15 anni fa, e questo è da tempo che mi fa pensare e ho iniziato a documentarmi.
Ho avuto la possibilità di consultare dei lavori scientifici in cui sono state fotografate con una metodica riproducibile in laboratorio delle materie prime vegetali derivanti da colture bio e da colture non bio.
Facciamo una precisazione: bio significa che le piante crescono in un ambiente in cui l’uomo si focalizza affinché la vita venga preservata in tutti i suoi aspetti e quindi la pianta stessa possa crescere nella sua interezza. Per essere chiari, nell’agricoltura bio per far crescere bene una pianta viene fatto sì che cresca bene anche il lombrico che serve alla creazione del terreno favorevole alla pianta stessa, nell’agricoltura bio è tutto il ciclo vitale che prende forma, è la parte organica del terreno che viene coltivata affinché la pianta possa rinforzarsi e si possa sviluppare al meglio.
La condizione essenziale per un’agricoltura ecologica è un terreno vitale ricco di flora e di fauna: molto spesso il messaggio che viene passato è che la coltivazione bio sia semplicemente assenza di sostanze chimiche; in realtà questo fatto è solo una conseguenza perché se la pianta è forte non è necessario utilizzare la sostanza chimica.
Teniamo presente che le moderne tecniche agricole con l’utilizzo di prodotti fitosanitari traggono le loro origini dagli studi del chimico Justus Von Liebig, secondo cui le piante crescono più velocemente con l’utilizzo dei fertilizzanti chimici: è un metodo scientifico, razionale incentrato sull’efficienza che non si preoccupa molto delle conseguenze né sull’ambiente né sugli stessi alimenti, se utilizzato a lungo.
Quello che è successo è che lo sfruttamento del terreno ha portato nel tempo alla diminuzione di sostanze minerali, vitamine, oligoelementi tanto da impoverire gli alimenti e, anche qualora queste sostanze possano essere rimpiazzate artificialmente, l’alimento che ne deriva non sarà mai uguale a quello originale.
close-up-1835934_640Ecco quello che osservo quotidianamente: le fragole sono belle, a volte sono anche buone, ma è come se fossero dei concentrati di zucchero senza un’anima, quindi con una risposta glicemica elevata e ingiustificata rispetto alla sua natura.
La verdura è come se fosse un concentrato di fibre senza il potere nutritivo che le dovrebbe caratterizzare. Ed è anche per questo che noto tutti i giorni sempre di più presente nelle persone un problema di reattività violenta (in termini di gonfiore) alla frutta e alla verdura probabilmente a causa dei FODMAPS, che non è normale.
La frutta e la verdura li abbiamo sempre mangiati, e non hanno mai creato tutto questo disagio: all’improvviso è come se la loro natura fosse cambiata.
Quando ho visto le foto al microscopio di come cambia la struttura molecolare di un alimento coltivato nel rispetto delle leggi della natura (chiamiamolo così, piuttosto che “bio”, proprio perché non voglio sostenere un movimento commerciale, quanto un atteggiamento di sensibilizzazione alla consapevolezza di ciò che acquistiamo) in confronto ad un prodotto frutto della agricoltura industrializzata, mi si è chiarito il mistero.
Nelle foto di una mela coltivata rispettando le leggi della natura è impressionante vedere come le molecole si dispongano addirittura riproducendo la struttura dell’albero, mentre nella mela “moderna”, vi sono veri e propri buchi tra le molecole che mi fanno pensare ai vuoti di informazione energetica che questi alimenti portano e quindi alla povertà in termini nutrizionali che essi trasmettono nel nostro organismo.
Le immagini degli alimenti coltivati nel rispetto della natura, sono armoniche, sono bellissime: le altre sono “spigolose”, “rotte”, senza un ordine.

Alimenti al microscopio

Qui ho parlato di vegetali, ma la stessa cosa succede con le proteine, anche le proteine animali.
Viene molto spesso fatto il processo alla carne rossa piuttosto che a carne bianca: il problema in realtà è capire come sono stati allevati gli animali da cui derivano le carni, in quali condizioni, che cosa hanno mangiato, quale stress hanno subito.
Generalizzare giudicando migliore la carne bianca piuttosto che la carne rossa è inesatto e obsoleto quanto giudicare il cibo solo come agglomerato calorico.
Anche nelle proteine di origine animale sarà fondamentale considerare l’aspetto energetico sottile.
Siamo di fronte a un cambio di “identità” degli alimenti che pensiamo di assumere: ora capisco perché negli Stati Uniti sta iniziando un violento movimento contro tutto ciò che è il “processed food”, ossia il cibo trasformato. Non è semplice ritornare indietro da un processo di industrializzazione, però è anche vero che il mercato segue la domanda: se noi consumatori iniziamo a essere più consapevoli, nel tempo qualcosa potrà cambiare. Iniziamo da cose molto semplici: rispettare la stagionalità della frutta e della verdura, acquistiamo solo merce locale, cerchiamo prodotti veramente bio o perlomeno evitiamo quelli che provengono da paesi stranieri molto lontani in cui i controlli sulla produzione sono inesistenti. Quando mangiamo le proteine animali, cerchiamo gli animali cresciuti nel nostro territorio: lasciamo la carne argentina in Argentina, la carne americana negli Stati Uniti, e la carne giapponese in Giappone.
In Italia abbiamo delle meravigliose produzioni estremamente controllate, che per fortuna non vengono “trattate” in maniera strana come avviene in alcuni paesi.
Non ho niente in contrario contro i formaggi francesi, ma abbiamo una produzione italiana che può fare invidia al mondo: meno strada facciamo fare agli alimenti meno questi devono essere trattati.
Il Trentino ad esempio, è una regione che si distingue per un’eccellenza: predilige, premia e privilegia la produzione locale rispetto a tutto il resto del paese.
In fondo un po’ di colpa ce l’abbiamo anche noi: mangiare i pomodori a dicembre, volere la papaia e il mango a Milano, pretendere le ciliegie a novembre, nel tempo ha portato ad una richiesta confusa nella produzione e abbiamo perso l’orientamento.
Ricordiamoci che il cibo è esattamente come noi: non è solo materia ma ha anche un’anima. Capire da dove viene, come è stato coltivato e come è stato cucinato è fondamentale per il nostro benessere.

Pubblicato originariamente su Mabella.